ATTILA FARAVELLI
Intervista a Attila Faravelli - Maggio 2018
Cantina: La Marca di San Michele
La Disordinata: Cosa è per te il suono e cosa vuoi raccontare lavorando intorno ad esso?
Attila: Ti rispondo raccontandoti una cosa che mi è successa ieri, sembra che non c’entri niente ma in realtà descrive bene il mio interesse. Per via di un lavoro fonografico che dovrò fare prossimamente, ho visitato le distillerie Branca a Milano. C’è uno stanzone in cui sono depositate su degli scaffali, in sacchi separati, le oltre 50 materie prime essiccate di cui è fatto il Fernet Branca: cannella, aloe, rabarbaro, camomilla, cinchona, zedoaria, galanga, tiglio, arancia amara, iris, zafferano e mirra ecc. E' stata una sensazione olfattiva davvero pazzesca, nell’aria c’era un profumo indescrivibile e penetrante che era impossibile ricondurre ad una sola delle piante… quell’odore era la miscela di tutte quelle sostanze, diverso dalla somma delle singole parti che lo compongono. Avvicinandosi di più ad esempio ai sacchi di camomilla o di cacao, il profumo che si sente è leggermente più riconoscibile ma sembra davvero di nuotare in un liquido entro cui i confini tra gli odori sono assolutamente vaghi. Mentre giravo per lo spazio pensavo che quello che mi interessa del suono è esattamente questa sensazione di essere immersi in un contesto, entro cui non è possibile separare i singoli eventi (al contrario ad esempio si come si fa nel sound design per il cinema..) ma anzi vagare a caso entro la miscela illeggibile di suoni entro cui siamo sempre immersi, senza cercare di separare ed isolare, ma considerare questo amalgama per quello che è, un campo di relazioni tra suoni e spazi e il corpo di chi ci si infila dentro.
Cosa vuol dire per te il vino e fare il vino, dopo questa esperienza
Ho capito che fare vino può essere molto simile alle forme di attenzione e cura per i contesti sonori. I ragazzi della Marca mi raccontavano ad esempio di come all’inizio della loro presa in gestione della vigna dai precedenti produttori, le viti avessero delle radici che andavano poco a fondo nel terreno. Essendo la vigna riempita di fertilizzanti in superficie, la pianta non sentiva il bisogno di andare a cercare i nutrimenti più in basso e si fermava per così dire in superficie. Dopo un breve periodo di gestione più accurata dei fertilizzanti, in sostanza dando alla pianta meno nutrimento, hanno verificato come la vite si spingesse più in giù, fino ad arrivare a nutrirsi dei sedimenti di sale presenti ad alcuni metri sotto terra, traccia della presenza del mare nella valle in ere geologiche molto antiche. La leggera salinità dell’uva conferisce tra l’altro al vino quella sensazione al palato di freschezza e ‘mineralità, che è poi tipica del verdicchio. Insomma, bisogna pensare il vino non come un prodotto o una cosa, ma come parte di un sistema di relazioni complesse, di nuovo una sorta di amalgama fatto di territorio, clima, tempo che passa. Ovviamente questo vuol dire che l’intervento del produttore è soprattutto nella forma di un ascolto accurato di qualcosa che avviene indipendentemente da lui ed in maniera in parte non controllabile, ed in questo senso è assolutamente lo stesso di ciò che a me interessa rispetto al suono.
Cosa ti ha lasciato la residenza?
Non essendo io un conoscitore di vini, né un gran bevitore di vini in generale, la residenza mi ha lasciato la voglia di conoscere i vini prodotti in questa maniera, prodotti che durante quei giorni ho assaggiato e di cui ho immediatamente avuto un senso di simpatia, nel senso profondo del termine. il vino della Marca ha fatto risuonare qualcosa in me che non avevo mai provato neanche bevendo dei prodotti ultra blasonati. E’ stato come se il loro vino avesse un carattere e una personalità, dire buono o cattivo in questo senso sarebbe riduttivo. Quel vino ha il sapore di un lungo processo e questa cosa si percepisce molto bene anche se non sei un somelier…
Quale suono ricordi maggiormente?
Come detto sopra, non ho un’attenzione rispetto ai singoli suoni ma al contesto sonoro entro cui siamo immersi. Diciamo che la sensazione sonora che più mi ha colpito è stata la differenza di carattere tra le botti in legno e i contenitori di vino metallici. Ho passato diverso tempo ad ascoltare le risonanze prodotte dai suoni dei ragazzi che lavoravano in cantina infilando i microfoni entro questi due diversi tipi di spazi chiusi, ovviamente vuoti. Sembra un luogo comune banale, il legno è caldo e il metallo è freddo, ma anche qui il materiale determina le forme.. la botte in legno ha davvero una risposta armonica e dolce, un riverbero che lega i suoni esterni e li mette d’accordo, la forma curva delle pareti e i tipo di curvatura da al suono una risonanza molto regolare ed organica, con delle vere e proprie note come la cassa armonica di uno strumento acustico. I grossi contenitori di metallo avevano un suono molto più profondo e spaventoso, un riverbero più lungo ed indistinto, più indifferenziato. Comunque interessante in quanto disumano.
Quale silenzio?
Ho registrato a lungo una famiglia che cenava al tramonto nascondendomi coi microfoni dietro l’ultima fila di viti della vigna della Marca, in pratica ho origliato i loro vicini di casa. Ci sono importanti festival di sound art dedicati all’eaves dropping (guarda solo l’ultima edizione di Liquid Architecture in Australia..) quindi non dirò molto di più se non che questo momento di gente che chiacchiera al tramonto e mangia, scherza. E’ stato forse un bel momento per apprezzare la quiete, il suono dei motori della campagna si abbassa, ci sono meno macchine e le persone abbassano il tono della voce. Come sopra, non solo il suono ma anche il silenzio esiste relativamente, come differenziazione rispetto ad un momento più pieno.